Quando i pignoramenti dell’Agenzia delle Entrate uccidono le PMI
In Italia cresce l’allarme per la crisi delle piccole e medie imprese schiacciate dai pignoramenti dell’Agenzia delle Entrate. Migliaia di PMI vengono dichiarate “non bancabili” a causa delle pregiudizievoli fiscali, restando senza credito e con i conti correnti bloccati. Senza liquidità né sostegni, molte chiudono i battenti, mentre alcuni imprenditori — travolti dai debiti e dall’assenza di soluzioni — arrivano a gesti estremi. Secondo stime recenti, oltre 200.000 pignoramenti vengono eseguiti ogni anno. Serve una riforma urgente per bilanciare la riscossione con la sopravvivenza del tessuto produttivo nazionale, oggi in bilico tra fisco e disperazione.
Pignoramenti e pregiudizievoli fiscali soffocano le PMI: conti bloccati, niente credito, aziende al collasso e imprenditori disperati.
Tra pignoramenti fiscali, conti bloccati e imprese dichiarate “non bancabili”, migliaia di PMI italiane vengono cancellate dal sistema per colpa dell’Agenzia delle Entrate. Cresce il numero di imprenditori schiacciati dai debiti e dal silenzio delle istituzioni.
Di Raffaele Tafuro
Da premettere, che uno dei problemi più gravi legati alle procedure dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione riguarda la notifica delle cartelle esattoriali, spesso mai effettivamente consegnate al destinatario. Molti imprenditori scoprono l’esistenza di un debito o di un pignoramento solo quando il danno è già fatto (conti correnti bloccati, fermo amministrativo o ipoteca già iscritta ecc). Il meccanismo nasce dal sistema delle “comunicazioni per compiuta giacenza” previsto dall’art. 26 del D.P.R. n. 602/1973 e dall’art. 60 del D.P.R. n. 600/1973.
Il peso del “credito fiscale” sulle imprese
Le PMI italiane sono spesso imprese fragili, con bilanci magri, flussi finanziari stretti e scarsa capacità di resistenza a shock esterni. Quando il fisco interviene con atti esecutivi — come pignoramenti di conti correnti o beni — il risultato può essere devastante. In alcuni casi, imprenditori già in difficoltà finiscono con il non avere più alcuna via d’uscita.
Questo articolo analizza come il sistema delle pregiudizievoli fiscali e dei pignoramenti da parte dell’Agenzia delle Entrate stia trasformando molte PMI “risolvibili” in imprese ormai “non bancabili”, spingendo talvolta alla disperazione chi guida l’azienda.
Il contesto normativo e le dinamiche operative
Pignoramenti veloci e poteri ampliati
- L’Agenzia delle Entrate – Riscossione può procedere al pignoramento di conto corrente senza passare per l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, in quanto la cartella esattoriale, una volta divenuta esecutiva, funge da titolo per l’azione. (danielebrancale.it)
- Il debitore ha 60 giorni dalla notifica della cartella per reagire: se non interviene né paga né propone opposizione, scatta l’esproprio forzato. (tributiconsulting.it)
- Le quote pignorabili sono soggette a limiti: il D.P.R. n. 602/73 prevede tabelle differenziate per importi fino a 2.500 €, da 2.500 a 5.000 €, e sopra i 5.000 €. (Agenzia Entrate Riscossione)
Numeri inquietanti
- Secondo alcune fonti, nel 2023 sono stati eseguiti oltre 200.000 pignoramenti di conti correnti da parte dell’Agenzia. (Fattirimborsare.com)
- Un’analisi recente segnala che ogni anno in Italia si registrano oltre 300.000 casi di pignoramento presso terzi, con un incremento stimato del 15 % rispetto agli ultimi anni. (avvocaticartellesattoriali)
- Lo stato dei pignoramenti è sempre più “sprint”: dal 2025 alcune norme prevedono che non sia più sempre necessaria la cartella prima di procedere all’azione esecutiva, cioè l’accertamento esecutivo potrebbe scattare più rapidamente in assenza di pagamento entro 60 giorni. (Brocardi)
Queste modalità rendono assai più agevole per il fisco presidiare i debitori, anche le imprese più piccole, con tempistiche aggressive e margini ridotti di difesa.
Effetti devastanti sulle PMI
La “pregiudizievole”: il marchio che rende non bancabili
Quando un’impresa è sottoposta a un pignoramento fiscale o a una pregiudizievole dell’Agenzia, il proprio “standing” creditizio viene gravemente compromesso.
Banche e istituti di credito tendono a scoraggiare o rifiutare il rilascio di finanziamenti a soggetti con contenziosi fiscali attivi, considerandoli ad alto rischio.
Il risultato è che imprese anche con potenziale di ripresa, se in “riserva fiscale”, non riescono ad accedere al credito necessario per continuare l’attività o investire.
Chiusura forzata sotto la pressione del fisco
Con il conto corrente bloccato, l’impresa non può ordinariamente operare: non paga fornitori, dipendenti, affitti, materie prime.
Molte imprese in queste condizioni sono costrette a dichiarare fallimento o cessare l’attività. In pratica, il pignoramento fiscale diventa spesso l’atto finale che precede la chiusura definitiva.
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Il dramma estremo: imprenditori che scelgono la via della disperazione
Non è raro che imprenditori, schiacciati da conti ormai senza risorse, vedano l’unica “uscita” nella propria vita. Ci sono casi documentati di suicidi di titolari d’impresa che si sentivano “non più vivi” per i debiti e la perdita di dignità.
Pur non esistendo dati statistici ufficiali centralizzati che riportino il nesso in modo sistematico, associazioni di categoria, giornali locali e cronache giudiziarie hanno segnalato negli ultimi anni casi emblematici. È un capitolo doloroso che conferma come il bilancio dei pignoramenti non si misuri solo in numeri fiscali, ma in vite spezzate.
Un quadro strutturale più ampio
- Il sistema informatico VeRa dell’Agenzia incrocia dati bancari, fatturazione elettronica, immobili e altri indicatori per “profilare” il rischio fiscale e anticipare le azioni. (Wikipedia)
- Le imprese definite “zombie” (quelle in stato prolungato di compromissione finanziaria) sono più vulnerabili: uno studio italiano ha applicato tecniche di machine learning per individuare queste imprese a rischio. (arXiv)
- Un’impresa con squilibri contabili o assenza di ridondanza patrimoniale non resiste all’urto di un’azione fiscale improvvisa. Molte PMI vivono di pochi mesi di cassa — e non hanno margine per resistere a blocchi prolungati.
Le responsabilità e le riforme necessarie
-Limitazioni alla pregiudizievole automatica
Il fisco non può trasformarsi in esattore “senza controllo”: serve che ogni atto fiscale sospenda i pignoramenti quando il contribuente dimostra difficoltà economiche documentate.
-Rateizzazioni davvero sostenibili e sospensione in caso di crisi
Per imprese in temporanea difficoltà serve la sospensione automatica delle azioni esecutive se presentano piani ragionati, intermediari di mediazione e revisione dei debiti.
La “Legge anti-suicidi” contempla, ad esempio, la sospensione delle procedure esecutive in casi di crisi documentata. (Rexpira)
-Trasparenza e responsabilità nelle valutazioni del credito bancario
Le banche devono motivare con specificità il rifiuto di credito a imprese con contenziosi fiscali, e dovrebbe essere impedito che la presenza di una pregiudizievole fiscale sia usata come motivo automatico di rigetto.
Potrebbe essere prevista una “moratoria fiscale-bancaria”: finché l’impresa è in ristrutturazione, né pignoramenti né rifiuti di credito automatici.
-Fondo di salvaguardia per PMI a rischio chiusura
Un fondo pubblico-privato che offra linee di credito ponte alle aziende gravate da azioni fiscali, per permettere loro di superare la fase critica.
Interventi di catalizzazione tramite la Cassa Depositi e Prestiti, banche pubbliche o istituti partecipati dallo Stato.
-Monitoraggio e indennizzo per casi limite
Creazione di un osservatorio pubblico che monitori i casi di crisi di impresa dovuti ad azioni fiscali e che possa proporre soluzioni preventive.
Possibile forma di indennizzo o “ristoro” in casi di esproprio eccessivo ingiustificato che ha portato al fallimento.
Per concludere, le PMI italiane non possono essere trattate come semplici “soggetti fiscali” da spremere fino all’ultima goccia. Quando l’Agenzia delle Entrate utilizza strumenti esecutivi aggressivi, senza considerare la vita concreta dell’impresa, il risultato è spesso un suicidio economico o persino esistenziale.
Se l’Italia vuole preservare il suo tessuto produttivo, serve un nuovo patto fiscale: efficacia del recupero sì, ma con limiti, controlli, salvaguardie e morbidezze per chi non può assorbire lo shock. Senza queste misure, assisteremo a una continua ondata crescente di fallimenti, desertificazione industriale, disoccupazione e tragedie umane che nessuna statistica potrà mai restituire.
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Articolo pubblicato dall’imprenditore e Operatore Finanziario Raffaele Tafuro, Presidente Nazionale Assopam (Associazione Professionisti, Agenti e Mediatori Creditizi), già delegato nazionale Fondazione Enasarco, Amministratore Unico Credismart A.A.F. srl mandataria Deutsche Bank Easy spa.
Esperto del settore del credito e della mediazione finanziaria. Docente per l’aggiornamento professionale OAM e IVASS, noto per le sue lotte per la riforma del credito e le sue critiche alle normative italiane ed europee nel contesto del mortgage credit.
Rappresentante d’interesse Assopam, alla Camera dei Deputati e all’Unione Europea per la tutela e la difesa di aziende e consumatori. Ha pubblicato migliaia di articoli e collabora con le migliori testate giornalistiche.
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